venerdì 3 aprile 2015

Il cristiano che passa

C'è vocazione in chi si nasconde dietro gli alberi della vita per essere spettatore del mondo? Il cristiano per sentirsi tale deve essere aperto a tutte le strade che si stagliano davanti, praticabili ed impraticabili, lineari o di difficile accesso. Forse la strada sterrata è quella che ha più bisogno di essere esplorata. Dove ogni giorno è sofferenza e dolore, vissuti nel silenzio, dentro scatole di cartone come case, dentro l'ipocrisia di chi passa e si mostra infastidito da tale condizione. Eppure il cristiano che passa dovrebbe dividere il suo mantello, dovrebbe soccorrere il fratello che è in difficoltà, dovrebbe spezzare il suo pane per dividerlo, briciola con briciola, con chi è affamato e non ha cosa mangiare. Non basta, però, l'elemosina elargita raramente, non basta un sorriso lanciato da lontano che possa essere di compartecipazione. Lo stato, che siamo noi, che contribuiamo a rendere vivo, dovrebbe agire in nome di tutti. I nostri rappresentanti politici dovrebbero disegnare leggi e promulgarle in difesa della povertà, della fragilitá, della disoccupazione, del diritto ad avere una casa, per la salvaguardia della vera famiglia, senza mortificare altre realtá sociali come la convivenza con o senza Dio in nome della libertà umana. Dovrebbero non realizzare ipotesi filosofiche ma operare pragmaticamente senza nascondersi dietro le parole ma realizzando i fatti. Ed allora la vocazione ad essere cristiani potrebbe essere accettata e realizzata senza sciorinare la laicità di uno stato che potrebbe evolversi verso la rigida indifferenza per l'umanità, se messo in pratica secondo le indicazioni di chi passa per strada e continua per la sua strada anche quando vede un fratello che soffre realmente.

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